Edurob: Robotica educativa per studenti con difficoltà di apprendimento. Intervista ad Andrea Fui

Dopo aver ascoltato Fiorella Operto e le sue considerazione sull’utilizzo della robotica educativa con i ragazzi con disabilità abbiamo intervistato Andrea Fui che si è occupato in prima persona del progetto Edurob e che ha maturato una notevole esperienza in questo contesto

 

Come vi abbiamo già raccontato Scuola di robotica ha partecipato ad un progetto europeo, concluso nel settembre 2016, chiamato Edurob e diretto dall’Università di Trent a Nottingham. Il progetto voleva dimostrare come lo sviluppo cognitivo potesse essere migliorato attraverso l’apprendimento mediato dall’utilizzo di robot. Dopo le dichiarazione di Fiorella Operto, abbiamo intervistato Andrea Fui che ha seguito il progetto durante il suo svolgimento.

Andrea perchè Edurob?

Lo scopo del progetto era creare uno strumento che facilitasse l’utilizzo della robotica per gli insegnanti che quotidiamente lavorano con i ragazzi disabili. Siamo andati in varie scuole dividendo il tempo a nostra disposizione in sedici sessioni circa dove cercavamo di alternare l’utilizzo del robot a sessioni senza il robot per controllare l’effetto che questo poteva avere attraverso l’utilizzo degli strumenti sviluppati dal progetto. Durante questo percorso abbiamo utilizzato diverse piattaforme a seconda dei casi.

Un esempio pratico?

Io ho lavorato soprattutto con il Lego Mindstorm EV3. Questo dispositivo è stato utilizzato per veicolare compiti di varia difficoltà, dal riconoscimento di colori e forme al far muovere il robot a “passi” o mediante coordinate.

Come avete creato l’applicazione? Qual è stato il punto di partenza del progetto?

Il target del progetto prevedeva la creazione di uno strumento. Questo si è concretizzato non solo nell’applicazione ma anche nei manuali che descrivono l’utilizzo e la creazione del contesto attraverso scenari di apprendimento.

Ovvero destinati a diverse tipologie di disabilità?

No, più che diversi tipi di disabilità a diversi tipi di compito. Questi ‘compiti’, contestualizzati in scenari, potevano essere svolti in maniera diversa con piattaforme diverse Ogni scenario è focalizzato sul coinvolgimento di alcune tra le 5 aree di sviluppo identificate (Imitazione, Causa-Effetto, Problem solving, Comunicazione, Apprendimento sociale).
Si veniva quindi a creare una situazione dove, per esempio, l’obiettivo era quello di muovere il robot all’interno di un labirinto. Questo labirinto implicava l’utilizzo di cinque competenze di base e, a seconda del livello di gravità della disabilità, il robot poteva essere pilotato attraverso istruzioni o sequenze e quindi, in quel determinato scenario, era possibile modellare le difficoltà in base alle esigenze.

Quindi è un progetto che può essere adeguato a molte tipologie di disabilità?

Si certo, l’obiettivo del progetto era raccogliere dati per validare lo strumento – l’applicazione, ndr – e il curriculum di situazione ovvero gli scenari apprendimento. Il nostro compito era quello di testare questi strumenti.

Il progetto adesso è concluso, quale futuro per questi strumenti?

Credo che l’Università di Trent a Nottingham stia proseguendo su questo percorso. Per quanto riguarda Scuola di robotica stiamo sfruttando l’esperienza che abbiamo accumulato per continuare la sperimentazione. Attraverso l’utilizzo del robot l’attenzione dei ragazzi era molto alta e quindi riuscivamo ad accedere a delle risorse dei ragazzi che, con altre attività, sarebbero state più contenute. Gli insegnanti hanno confermato questi risultati e ne erano entusiasti.

Lavorare con i robot è un valido strumento per sfruttare l’attenzione nello svolgimento del compito e nel potenziamento della relazione con l’insegnante. La formazione e l’educazione attraverso nuovi sistemi è un obiettivo che auspichiamo e perseguiamo tuttavia riteniamo che, nel contesto della disabilità, questi nuovi strumenti potrebbero fare la differenza. Il fatto di avere un oggetto con cui interagire può trasformare la situazione di un ragazzo disabile che molto spesso può essere scarsamente motivato oppure giù di morale. Grazie a questi oggetti, che creano ingaggio, la situazione migliora e allora si può lavorare sulla creazione di un’attività motoria oltre che relazionale. Nonostante questo noi non vogliamo che sia il robot a interagire con il ragazzo ma desideriamo che il robot sia uno strumento. Questa è la base della nostra ricerca, il robot non deve diventare un appannaggio del soggetto ma deve essere uno strumento di cui il soggetto si serve per migliorare la propria condizione.

Intervista a cura di Gianluca Pedemonte