Robot, interfacce e autismo, dialogo con Daniele Lombardo (II parte)

Come vi avevamo promesso ecco la seconda puntata della nostro dialogo con Daniele Lombardo, uno dei fondatori di Behaviour Labs.

 

Se siete interessati a sapere cosa ci siamo detti durante la prima parte trovate il nostro pezzo qui.

Daniele, la scorsa volta abbiamo parlato di Nao e Milo. Entrando nei particolari tecnici Milo, a differenza di Nao, possiede il display sul petto. In quale modo questo può influenzare la terapia?

Siccome il robot viene accettato dal soggetto autistico e siccome per lui è interessante, oltre ad essere un grande motivatore e catalizzatore dell’attenzione, si può utilizzare il display per la proiezione del pensiero del robot. Con quel display si può far sapere al paziente cosa sta pensando il robot senza che lui debba immaginarlo.

 

E se il paziente non è verbale?

Non ha importanza, noi abbiamo sviluppato degli esercizi per bambini non verbali dove le risposte vengono date attraverso il tablet.

 

Quindi dal punto di vista tecnico Nao è superiore a Milo?

Dal punto di vista del corpo assolutamente si ma dal punto di vista del viso Milo è decisamente superiore.

In quale modo la mancanza di una interfaccia visiva in Nao influisce sulla terapia?

Ci sono alcuni casi in cui la mancanza di espressione di Nao è utile perchè ci si può concentrare maggiormente sul corpo. Comunque anche Nao simula le emozioni ma in modo abbastanza grossolano, tramite il colore degli occhi: verde quando è felice, rosso quando è arrabbiato e blu quando è rilassato. Fermo restando che ogni bambino è un mondo a sé questi colori vengono generalmente accettati. Inoltre Nao riesce ad essere espressivo con il linguaggio paraverbale ovvero associando il parlato alla gestualità oppure con la postura del corpo. La difficoltà maggiore quando creiamo un esercizio sta nell’ “animare” un robot e questa è una cosa che non si può fare senza criterio. Ogni minimo movimento deve essere ragionato e pensato.

Il robot riesce a comprendere quando è il momento di utilizzare un linguaggio più o meno verbale?

Il robot è un esecutore, siamo noi che codifichiamo l’esercizio a scegliere grazie a tutta una gamma di opzioni che il terapista va a selezionare. Se il paziente è un bambino con un alto grado di attenzione si può utilizzare il robot per spiegare l’esercizio in quanto il bambino ha un’attenzione tale da permettergli di seguire il robot. Se invece abbiamo un bambino ipercinetico un robot che parla per molto tempo è quasi inutile perchè non desta alcun tipo di interesse in lui.

 

Nel corso della vostra storia come sono stati i rapporti con le istituzioni?

Con l’Asl di Catania da subito positivi; ho presentato questa idea e loro mi hanno messo in contatto con il reparto di neuropsichiatria e, a quel punto, siamo stati fortunati nel trovare un medico che aveva già sentito parlare della sperimentazione negli Stati Uniti e che quindi si è dimostrato da subito entusiasta. Successivamente è arrivato anche l’appoggio dei dirigenti. A questo punto è stato questo neuropsichiatra a introdurci ai terapisti e questo ha agevolato la nostra strada. Abbiamo solo sofferto per i tempi burocratici di attuazione.

Siete contenti del successo di Behaviour Labs?

Si assolutamente perchè alla fine i nostri sforzi vengono ricompensati dal fatto che il lavoro inizia a dare dei buoni risultati.

In un precedente articolo (che potete trovare qui)  abbiamo dichiarato che noi di Scuola di Robotica non ci sentiamo pronti per definire robotica come terapeutica; sei d’accordo con il nostro punto di vista?

In realtà io la definirei terapeutica nell’ambito dell’autismo perchè mi rifaccio a quello che mi è stato detto dai terapisti. Il soggetto autistico ha una totale predilezione per lo strumento informatico e questo è consolidato. Esistono già moltissime applicazioni che vengono utilizzate sui tablet e i pc. È evidente che rendendo antropomorfi questi oggetti, ovvero i robot, aumentano i problemi di interazione e relazione però il principio di fondo permane. L’oggetto informatico ripetitivo è rassicurante inoltre, in quanto antropomorfo, riesco a creare e sviluppare degli esercizi anche per quanto riguarda le social skill.

Quale approccio utilizzate per progettare i vostri esercizi?

L’approccio che noi utilizziamo riconduce alla cognitiva comportamentale. Noi cerchiamo di stimolare dal punto di vista cognitivo e dal punto di vista del comportamento il soggetto. Il robot viene accettato proprio perchè è un oggetto e non rappresenta un giocattolo bensì un compagno di giochi.

Quale differenza vede un bambino autistico nel robot rispetto ad un vero compagno di giochi?

Premesso che i bambini autistici hanno difficoltà nelle relazioni umane e che hanno quindi delle difficoltà nel riconoscere il volto dell’altro bambino, nel rispettare il proprio turno ecc.  Se queste azioni non vengono decodificate dall’altro essere umano possono provocare una reazione negativa in quest’ultimo che risulta imprevedibile per il bambino autistico. La relazione con gli altri è difficilissima per questo motivo. Il robot, al contrario, non giudica, non ha problemi relazionali e quindi è perfetto proprio perchè è un robot. Il nostro sogno è quello di utilizzare il robot come piattaforma per l’inclusione e l’integrazione dei soggetti autistici con i soggetti neurotipici utilizzando proprio il robot come mediatore.

Intervista a Daniele Lombardo di Gianluca Pedemonte.

 

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