I social robot potrebbero essere pericolosi per l'utenza debole?

All’interno del settore della robotica di servizio associata all’utenza debole hanno lavorato molte aziende. Una di queste è la Blue Frog Robotics, spin off del Criif, che ha progettato Buddy for special needs, un upgrade del robot di servizio Buddy dedicato all’utenza debole.

 

All’interno del settore della robotica di servizio associata all’utenza debole hanno lavorato molte aziende. Una di queste è la Blue Frog Robotics, spin off del Criif, che ha progettato Buddy for special needs, un upgrade del robot di servizio Buddy dedicato all’utenza debole.

Buddy è un robot basato su un sistema open source aperto al contributo del mondo degli sviluppatori, delle università, dei laboratori di ricerca e nasce con l’obiettivo di sviluppare un robot accessibile e utile a tutti. Infatti Buddy è un robot di servizio che si candida a “governare” i sistemi domotici delle nostre case, a istruire i bambini e ad essere connessi con gli amici. Inoltre Buddy “protegge” la nostra casa quando siamo assenti infatti, grazie ai suoi sensori, è in grado di rilevare una fuga di gas e altri problemi domestici. Questo piccolo robot ha un’aria simpatica e innocua, è alto solo 55 cm e possiede moltissimi sensori, un display touchscreen di 8” che permette di comunicare con gli esseri umani e una videocamera integrata.

Nel progettare questo robot, gli sviluppatori della Blue Frog, hanno pensato anche all’utenza debole e in special modo al disturbo dello spettro autistico infatti hanno progettato “Buddy special needs”. Lo scopo di questo progetto è quello di potenziare le social skills dei ragazzi affetti dal disturbo dello spettro autistico. Come abbiamo detto moltissime volte, i bambini affetti da questo disturbo hanno delle notevoli difficoltà a interagire serenamente con le altre persone. Le potenzialità della robotica in questo settore sono enormi infatti esistono moltissimi progetti in fase di sviluppo che hanno come obiettivo quello di migliorare le capacità relazionali di questi ragazzi.

Alcuni di questi progetti li abbiamo raccontati e altri li racconteremo. Robot come Pepper, Nao, Zeno, Milo, Kaspar e il nostro Roboable nascono con questo obiettivo e anche Buddy for special needs si propone di aiutare questi ragazzi a migliorare le loro capacità relazionali tuttavia per il momento questo robot è solo un prototipo e bisogna accontentarsi di Buddy, il robot domestico.

Un altro “home robot” è Jibo, il robot casalingo creato da Cynthia Breazeal, docente al Mit di Boston, ritenuta tra i maggiori studiosi di robotica social al mondo. Jibo è alto solo 28 cm ed è un assistente personale che può scattare foto, effettuare videochiamate, leggere e inviare messaggi, ricordare un appuntamento e interagire con i componenti della famiglia che riconosce grazie a due fotocamere ad alta risoluzione e a un microfono con rilevazione sonora a 360 gradi. Grazie a speciali algoritmi e alla sua intelligenza artificiale è in grado di imparare gusti e abitudini di ogni membro della famiglia e utilizzare un tono di voce appropriato all’interlocutore o al ruolo che gli viene chiesto di assumere. Il mezzo con cui comunica le proprie “emozioni” è l’occhio che, in base alle circostanze, può cambiare forma e colore o trasformarsi in un’emoticon.

Parlando di questi robot il Washington Post si pone alcune domande a mio avviso fondamentali per il felice proseguimento del rapporto tra esseri umani e robot: “Questi social robot sono solo un espediente per “nerd” cresciuti con il mito di R2-D2 e Wall-E oppure possono aggiungere un valore duraturo alla robotica domestica fino a diventare veri e propri “collaboratori” che si occupano di assistenza per gli anziani e per i più piccoli?”. Oppure “Avere questi robot che vagano per le case con la possibilità di fotografare e registrare le nostre azioni potrebbe essere pericoloso per la nostra privacy?” E ancora “La nostra pryvacy casalinga potrebbe essere minacciata da un hacker esterno che ci spia attraverso questi robot?” Le domande sono pertinenti, infatti, fino a pochi anni fa, l’idea di avere dei robot che si aggirano per le nostre case, che ci aiutano a fare la spesa e i compiti e ci ricordano i nostri appuntamenti era pionieristica se non addirittura visionaria tuttavia questo settore sta prendendo sempre maggiore campo e, probabilmente, entro i prossimi quindici anni la maggior parte delle persone si adatterà ad avere nelle proprie abitazioni private uno di questi robot proprio come si è abituata ad avere radio, televisioni e computer prima, smartphone e tablet adesso.

Ma per evitare che queste “minacce” si avverino bisogna, già da adesso, pensare a dei contrappesi che permettano di utilizzare queste tecnologie in totale sicurezza, senza pericolo per le fasce deboli della popolazione ma più in generale senza rischi per ognuno di noi.

Gianluca Pedemonte